martedì 22 settembre 2015

DOMENICA 27 SETTEMBRE 2015 ARCHEOTREKKING: ESCURSIONE LE ANTICHE TERRE DEL VINO


PALIZZI ... è tempo di vendemmia! 


PROGRAMMA
  • Ore 09.00 presso SS 106 (area parcheggio antistante lo svincolo per San Carlo - Condofuri Superiore): raduno;
  • Ore 09.15 presso SS 106 (area parcheggio antistante lo svincolo per San Carlo - Condofuri Superiore): partenza;
  • Ore 10.00 (circa) Palizzi Superiore: arrivo sosta e parcheggio autovetture nelle vicinanze dell’antico borgo;


PERCORSO

Dopo l’arrivo nel borgo antico di Palizzi Superiore inizierà un’escursione che porterà fino ad alcuni vigneti dell’entroterra del suo territorio comunale, qui si potrà assistere e partecipare all'antica pratica della Vendemmia.

DIFFICOLTÀ ESCURSIONE: cat. E
TEMPO DI PERCORRENZA: 3 ore circa
ATTIVITÀ CULTURALE: all'arrivo presso i vigneti si visiteranno e sarà esposto un excursus storico sulla pratica della vendemmia che sarà eseguita, al termine per tutti i partecipanti ci sarà la degustazione di prodotti tipici locali e del classico IGT rosso di Palizzi. Il rientro è previsto nel pomeriggio. 

(*) Si consigliano:
1. Scarpe e abbigliamento da trekking
2. Cappello 
4. K-Way per la pioggia
3. Scorta di acqua potabile

NOTE STORICHE 

I Greci sbarcarono in Calabria nell’VIII secolo a. c. per colonizzare le nostre terre assegnando alle popolazioni indigene il nome di Enotria perché qui trovarono molto diffusa la coltivazione della vite e la produzione del vino. Infatti, l’esistenza e la coltivazione della vite nella Magna Grecia risale a 1.500 anni prima della venuta di Cristo. I Greci portarono altre varietà che furono incrociate con quelle autoctone; proprio qui sono state rese domestiche le viti selvatiche ed innestate con quelle orientali. La Calabria diviene vivaio di produzione, zona di acclimatazione e  punto di passaggio obbligato per la  diffusione della coltura della vite nell'Europa occidentale e nel mondo. Innumerevoli sono le testimonianze che avvalorano queste tesi, tra le altre il ritrovamento di antichi palmenti, alcuni dei quali risalenti al periodo pre-ellenico, rinvenuti nel territorio del comune di Locri e nell’entroterra lamentino. La Calabria vanta il maggior numero di varietà autoctone, tanto è vero che a tutt’oggi ne sono state raccolte e catalogate circa 150. Tutto ciò testimonia non solo le antiche origini della nostra viticoltura ma i fasti di un territorio che per cultura viticola non aveva nell’antichità uguali in Italia. Si racconta che, nel V secolo a.c., l’istmo tra i golfi di Squillace e S. Eufemia fu chiamato Italìa, il nome sarebbe derivato da quello del principe Enotrio: Italo, che avrebbe dominato l’estremo sud della penisola. Da allora non si è mai smesso di fare vino in questo territorio. Fino all’Ottocento i vini calabresi trovarono vasto mercato in Francia, dove erano utilizzati per dare corpo e struttura ai rossi d’Oltralpe. Spetta però ai monaci basiliani il merito di avere operato una diffusione capillare in tutto il territorio con l’introduzione di nuovi vitigni e tecniche intensive di produzione. Furono dunque questi religiosi che diedero vita ad una grande trasformazione nelle colture agricole del tempo in quanto destinarono a vigneti (ed uliveti) immense estensioni di terreno. Dal medioevo Normanno e Angioino che esistono rapporti enologici con la Francia, infatti, il nostro termine dialettale “racina” è sicuramente connesso al francese racine. Negli ultimi decenni la coltivazione della vite in Calabria ha subito una notevole riduzione quantitativa, infatti, da una superficie di circa 38.000 Ha del 1982 si è arrivati ai circa 13.000 Ha di oggi. Come conseguenza di ciò la produzione vinicola, dagli oltre 3.000.000 di ettolitri del 1982, si attesta oggi intorno ad 1.000.000 di ettolitri. Di contro, nello stesso periodo, si è potuto assistere ad una interessantissima crescita qualitativa: della materia prima, delle aziende e del loro  prodotto finito. Si sono imposte nel mercato cantine con forte tradizione, alla quale hanno saputo unire slancio e lungimiranza, sia quelle pronte a conquistare nuovi consumatori e a seguire le evoluzioni del settore producendo vini con spiccata personalità ed in linea con le esigenze del mercato. Il clima e la variegata orogenesi permettono a questa regione di offrire uve diverse, dalle colture in riva al mare a quelle di pianura, per arrivare ai vigneti che si inerpicano a gradoni sui versanti delle montagne e delle colline. Una diversità di produzioni d’uva in grado di generare vini dai sapori unici e sublimi. Le varietà attualmente più coltivate sono:  Gaglioppo,  Magliocco,  Greco Nero, Nerello, Calabrese, Greco Bianco,  Montonico Bianco, Guardavalle e Pecorello, con esse ed altre varietà si producono 12 vini a Denominazione di Origine Controllata e 13  ad Indicazione Geografica Tipica. La vendemmia è una pratica antica, ricca di rituali, che ha sviluppato anche la produzione di prodotti artigianali utilizzati durante le fasi di lavorazione per la raccolta dell’uva e la produzione del vino, utensili oggi conservati in musei etnografici del territorio. Durante la raccolta dell’uva vi era e vi è tutt’oggi nei nostri vigneti una veste di sacralità: i contadini e i braccianti agricoli si distribuiscono tra le viti disposte in filari o disordinatamente con un vociare continuo a volte accompagnato da qualche suono, il tutto rievocando un grande fiume di emozioni accompagnate dall’ebbrezza della raccolta con i suoi frutti che ripagano le fatiche e il sudore del duro lavoro di un’intera annata.

sabato 19 settembre 2015

SABATO 19 SETTEMBRE 2015: CARLO ROVELLI e il GRUPPO ARCHEOLOGICO "Valle dell'Amendolea" presso il Castello Ruffo ad Amendolea, Condofuri (RC)



EINSTEIN? 
VA STUDIATO SULLA SPIAGGIA DI CONDOFURI...  
PAROLA DI SCIENZIATO!








Carlo Rovelli con il Gruppo Archeologico "Valle dell'Amendolea"
presso il Castello Ruffo, Amendolea, Condofuri (RC) 

Fate parte dell’affollato esercito di quelli che non sono mai riusciti a capire la Relatività Generale di Einstein: “la più bella delle teorie” del mondo, più emozionante e intesa del requiem di Mozart, dell’Odissea e della Cappella Sistina? Colpa vostra: l’avete studiata non nel modo ma nel posto sbagliato. Se siete calabresi, colpa vostra mille volte di più perché il posto lo avevate sotto il naso. Capire la Relatitivà è straordinariamente facile: basta fare il bagno e godersi il sole sulla spiaggia di Condofuri. Non ci credete? Solo perché non conoscete Carlo Rovelli, che non è l’impiegato di quel Comune, ma un fisico teorico dell’Institut Universitaire de France e dell’Accadèmie Internazionale de Philosofie des Scientes e dirige l’equipe de gravitè quantique del Centre de physique theorique dell’università di Aix-Marseille. Insomma, un grande fisico e filosofo della scienza e scusate se è poco. Lui la Relatività riuscì a espugnarla da giovane a Condofuri Marina, come racconta in Sette brevi lezioni di fisica. Racconta Rovelli: “Ricordo l’emozione quando cominciai a capirne qualcosa. Era estate. Ero su una spiaggia della Calabria, a Condofuri, immerso nel sole della grecità mediterranea, al tempo dell’ultimo anno di università. I periodi di vacanza sono quelli in cui si studia meglio, perché non si è distratti dalla scuola (per favore, non ditelo ai professori)”. E continua: “Ogni tanto alzavo gli occhi dal libro per guardare lo scintillio del mare: mi sembrava di vedere l’incurvarsi dello spazio e del tempo immaginati da Einstein”. Quindi la scoperta mozzafiato: “Era come una magia: come se un amico (il mare della rovente spiaggia di Condofuri!), mi sussurrasse all'orecchio una straordinaria verità nascosta, e d’un tratto scostasse il velo dalla realtà per svelarne un ordine più semplice e profondo”. Insomma, vista da lì la relatività la vedi e quasi la tocchi. Facile come bere un bicchiere d’acqua: parola di scienziato. Il libro di Rovelli è una fonte continua di piccole e grandi rivelazioni, un’emozione continua. Uno straordinario concentrato di sapere, amalgamato con una lezione di filosofia e di vita; uno sprone a inseguire la conoscenza, a dubitare di ogni verità, al rimettersi in gioco ogni giorno. Una lettura avventurosa e creativa; giocando, spiega con rigore scientifico le teorie fisiche più avanzate del mondo. Albert Einstein, Paul Dirac, Bohr e Gauss ritornano umani; relatività generale, meccanica quantistica, particelle e grani di spazio-tempo dentro la semplicità delle parabole; il confronto continuo con le scienze umane, da Joyce a Spinoza, elencato come una delle variabili della difficile equazione della vita. Il libro trasmette la voglia di saperne di più, di non fermarsi mai, di accettare la sfida nella consapevolezza che noi esseri umani, “un ghirigori qualsiasi nell’immensità del tempo e dello spazio”, possiamo, e dobbiamo, cercare risposte. Ad ogni cosa, non soltanto alle domande della scienza. Il genio è mosso dalla volontà di comprendere; il resto è servizio al mondo dei consumi e dei luoghi comuni: questo libro li ribalta tutti. La lezione è netta: la cultura è esclusivamente l’ammissione della propria ignoranza. Più si sa, più si è (e si diventa) ignoranti. Paradigmatico il racconto di Rovelli su Einstein giovanotto: “Da ragazzo, Albert Einstein ha trascorso un anno a bighellonare oziosamente. Se non si perde tempo non si arriva da nessuna parte, cosa che i genitori degli adolescenti dimenticano spesso. Era a Pavia. Aveva raggiunto la famiglia dopo aver abbandonato gli studi in Germania, dove non sopportava il rigore del Liceo (...) Albert leggeva Kant e seguiva a tempo perso lezioni all'università di Pavia: per divertimento, senza essere iscritto né fare esami.
È così che si diventa scienziati sul serio.”
*Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Milano 2014, Piccola biblioteca Adelphi.